http://www.panorama.com.al/2013/06/17/artisti-italian-me-harten-e-gjyshit-neper-shqiperi/
La giornata inizia con un incontro casuale nel bar sotto casa. Un militare in pensione specializzato in comunicazioni mi fa capire che la strada dei movimenti elettromagnetici attraverso l’Adriatico non è percorribile in entrambe le direzioni: “il nostro segnale” mi dice “è più forte del loro, il loro è assai debole”. Aggiunge che i condensatori in lattina a questa distanza non servono e che l’unico tentativo che potrei fare sarebbe quello di acquistare un amplificatore di frequenza: lo vendono i Cinesi vicino alla chiesa russo-ortodossa di Bari e costa 5 euro. Dopo i “fallimenti” di ieri sono scettico sulle possibilità di captare un qualche segnale dall’Albania ma voglio comunque tentare. Torno sul molo e come ieri vengo circondato da una piccola folla di aiutanti estemporanei, tra questi un ex elettricista mi spiega come montare l’amplificatore. Inoltre, seguendo il consiglio degli ex carcerati, aggiungo ai condensatori una rete di alluminio. Ma ancora niente! il solito brusio grigiastro.
Verso le 12.30 arriva Paci, fondatrice di un’associazione di giovani albanesi a Bari e dell’associazione “L’Onda Perfetta”, che accoglie e sostiene gli immigrati – non solo albanesi – al loro arrivo in Italia. La scelta di questo nome ha per Paci un significato personale, si tratta infatti della metaforica onda che, molti anni prima, portò suo padre da Durazzo a Bari, dopo molti mesi di falliti tentativi di imbarco. Dopo una chiaccherata-intervista (che editerò e pubblicherò) Paci si siede davanti al vecchio televisore catodico e inizia a “spippolare”, mentre Anna sposta l’antenna in movimenti lenti. Forse si tratta di un sapere incorporato o forse di un caso, ma dopo alcuni minuti un fruscio ci fa sobbalzare, l’antenna, puntata in quel momento verso Bari, sta captando un segnale! Paci è concentratissima e tiene tra le dita il filo di quel rumore che aumenta, si interrompe e poi riprende. Improvvisamente il fruscio diventa lingua. Ci stringiamo intorno al monitor, trattenendo il respiro. Intuiamo delle forme umane emergere e scomparire tra i pallini vorticanti ed il nostro riflesso sullo schermo, qualcuno parla ma non capiamo in che lingua. Penso che si tratti di una televisione locale ma ad un certo punto Paci riconosce due parole in albanese: “mrekullueshëm” e “sepse”, “meraviglioso” e “perchè”.
Questa piccola epifania avviene verso le 3 del pomeriggio, nel pieno della “controra” barese, quando la città è deserta. Ad assistere a questo toccante non-evento siamo non più di sette persone. Il segnale aumenta sempre di più e, verso le 3, ascoltiamo e vediamo chiaramente il Tg albanese. Si parla delle imminenti elezioni e del censimento.
Ma è tardi e Paci deve andarsene. Poco dopo suoni e immagini sprofondano nuovamente nel brusio di fondo. Passo molte ore a cercare inutilmente di recuperare il filo di quell’onda elettromagnetica perfetta, ma senza significativi risultati.
Testo l’antenna in un cortile interno nel centro di Bari, non lontano dal mare. Le onde elettromagnetiche hanno sempre viaggiato bene attraverso l’Adriatico, ma i palazzi sono alti e potrebbero interromperne il flusso.
Il modello è quello con lattine di alluminio utilizzate come condensatori. Collego l’antenna al televisore ma sul monitor i puntini continuano a vorticare silenziosamente, imperturbati. Nessun segnale! Penso che le lattine di Coca Cola non sono più quelle di una volta – che ironia! – sono infatti più lunghe e strette. O forse è per via dei palazzi. Bisan, artista palestinese invitato da Vessel qui a Bari, ha esperienza in materia di antenne auto-costruite e mi affido al suo know how: suggerisce di attaccare il cavo alla ringhiera di alluminio, è bassa ma si tratta di decine di metri quadrati di griglie metalliche collegate tra loro. Ma ancora niente, il pulviscolo continua a vorticare imperturbato.
Trascino la postazione sul molo de Ciringuito, un bar nel porto vecchio di Bari, luogo di ritrovo di un’umanità variegata dove la birra costa 1 euro. In Albania ho imparato quanto clima e morfologia influissero sulla ricezione delle onde elettromagnetiche: il mare è proprio davanti a me, piatto e teso, il cielo è terso e non ci sono nuvole; sono ottimista. Due uomini sulla cinquantina riconoscono l’antenna. Sono ex carcerati e quel dispositivo risveglia in loro una paradossale nostalgia. Mi parlano del carcere di Bari e mi danno qualche consiglio tecnico per incrementare il segnale – La traccia audio della nostra interazione: http://kiwi6.com/file/v7n753k788
Punto l’antenna in direzione dell’Albania, ma niente! la punto sul Montenegro, ancora niente, la oriento verso gli emittenti locali del Gargano, solo brusio! evidentemente il condensatore di lattine non capta alcun segnale.
Ho con me una teglia per torte a ciambella, è concava, circolare e cava, ed è di alluminio. Questo oggetto sembra sommare molti degli elementi delle antenne artigianali albanesi. Inizio a lavorarci, mentre una piccola folla incuriosita mi osserva, prodiga di suggerimenti tecnici. Tra poco c’è la partita di calcio e tutti tifano per l’antenna.
Dopo un’oretta l’antenna è finalmente pronta. Si tratta di un’antenna “corale”, ottenuta dal brain storming di studenti, ex carcerati, immigrati, disoccupati, elettricisti e artisti. Ci assicuriamo che i cavi facciano contatto, aggiungiamo qua e là foglio di alluminio in modo che tutti gli elementi siano connessi, accendo il televisore e inserisco il cavo. Ma niente, solo pulviscolo grigio. Il popolo del Ciringuito è rude ma benevolo e in parecchi mi suggeriscono di comprare un decoder.
L’antenna, originariamente concepita per varcare la soglia di un isolamento imposto, ha fino ad ora fallito nel suo obbiettivo manifesto, ma è stata l’occasione per intersecare visioni del mondo, esperienze, racconti e ricordi di vite eterogenee.
Alcune di queste dinamiche sono state documentate attraverso immagini e registrazioni audio e video.
Bari, con le informazioni tecniche raccolte a Tirana e l’esperienza dei migranti albanesi che vivono qui sto cercando di costruire la mia antenna.
Mi chiedo se sia ancora possibile, nell’era del digitale terrestre e del satellite, captare – con una tecnologia rudimentale – suoni e immagini emessi sull’altra sponda dell’Adriatico, ma invertendo la direzione dell’ascolto. Un invito ai miei connazionali a fare quello che gli albanesi fanno da molti decenni: lanciare uno sguardo, tendere un orecchio oltre il blu del mare.
Dal Tirana Art Lab mi sposto temporaneamente a Bari, invitato da Vessel come tutor dell’International Curatorial Workshop. Un fortunata coincidenza che mi permetterà di articolare l’esperienza in Albania attraverso il filtro di un ritorno temporaneo in Italia. In fondo la non neutralità della mia provenienza è inscritta nei presupposti di questo progetto.
Tra una settimana sarò di nuovo a Tirana.
Nella mappa di guerra un groviglio di linee tracciate a matita lega Antivari (oggi Bar, in Montenegro), Durazzo, Bari e Brindisi.
Sulle rotte dell’espansionismo fascista nell’Adriatico hanno viaggiato, 50 anni dopo ed in direzione opposta, migliaia di essere umani, inseguendo “ëndrra italiane”, il sogno italiano.
Shengjin, mi ricorda molto la spiaggia di Durazzo, con grandi ristoranti vuoti dai nomi kossovari e macedoni. Arrivo qui direttamente da Scutari, dove mi sono improvvisato guida turistica in occasione di visite dall’Italia. Ho inforcato le lenti di chi viaggia per piacere, cerca il benessere, il bel paesaggio e un po’ di folclore. I miei ospiti sono stati bene a Scutari, abbiamo mangiato carpa in umido sul lago e passeggiato nel centro città, ma questo luogo li turba: l’edilizia degli anni ’90 è per loro una mera mostruosità. I nomi che riecheggiano la saga dell’Albania etnica non risvegliano in loro alcun immaginario. E piove. Decidiamo di pranzare in un famoso ristornare-agriturismo, non molto lontano dalla città portuale. La scommessa del proprietario, che ha vissuto molti anni a Bolzano, è di creare un turismo (anche interno) sostenibile, e far sorridere il bunker.
Chi è che non dorme la notte e risolve i problemi di noi italiani quando alle 2 del mattino chiamiamo il numero verde perchè il cellulare non riceve sms o il modem lampeggia in modo strano?
I giovani di Tirana sono grati ai call center italiani: il lavoro è duro ma non ci sono molte alternative.
Ma approfondendo la conversazione emerge spesso un sottile disappunto: ad una eventuale esplicita domanda da parte degli utenti su dove si trovino devono mentire e rispondere che chiamano dall’Italia.
Passeggio davanti alle “cave” di Tirana, subito oltre l’anello interno, in piena città. Da lontano intravedo due teste che affiorano ritmicamente tra i cumuli di detriti. Stanno scavando, quasi interamente sprofondati nelle buche. Mi avvicino, l’adulto usa una pala, il ragazzino un piccone piccolo. Ma sento picconare anche oltre gli arbusti, ci sono altre due persone immerse nella terra, un giovane e un vecchio. Un altro bambino sta invece seduto e seleziona le “pepite” migliori da un mucchio di detriti, sembrano fusioni di bronzo o rame. Nel post precedente avevo parlato di “micro-minatori”, ma oggi l’attività estrattiva ricorda quella di una vera e propria miniera, seppure informale. La mia presenza viene accolta con naturalezza e cordialità, mi lasciano fotografare – con un certo orgoglio – e proviamo a comunicare. Continuano a ripetere tre parole: Uzina, Enver e Leka; fabbrica, Enver Hoxha e soldi. La fabbrica si chiamava infatti “Uzina Enver”. Con il pollice alzato aggiungono “Enver Hoxha shum mir”, “molto buono”. Il dittatore trasfigurato in una divinità tellurica che ha disseminato il sottosuolo di tesori preziosi. Harta e thesarit. Quando dicono leka fanno il gesto di portare il cibo alla bocca: metallo contro cibo. Chiedo quanti lek per un chilo: 200 Lek, circa un euro e mezzo.